Il giornalismo sportivo ticinese piange Alcide Bernasconi

Si sono tenuti questa mattina a Lugano i funerali di Alcide Bernasconi, deceduto all’età di 80 anni la vigilia di Natale.
Ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio un gran numero di amici e colleghi, che hanno voluto testimoniare alla famiglia – la moglie Didi, i figli Filippo e Francesca ed i nipotini – la stima e l’affetto nutrito verso un giornalista di grande levatura, che fino al pensionamento è sempre stato membro della nostra ATGS e, soprattutto, ha dedicato una vita al Corriere del Ticino, nella cui redazione aveva cominciato a lavorare nel 1968.

Erano gli anni in cui chi intraprendeva il mestiere di giornalista doveva occuparsi di tutto, dalla cronaca cittadina a quella nazionale, prima dello sport.
Alcide dello sport era innamorato, soprattutto di hockey su ghiaccio e ciclismo, ma anche di calcio (ricordava con orgoglio che suo papà era stato segretario del FC Lugano) e l’hockey l’aveva anche praticato, giocando in Prima Divisione come portiere oltre San Gottardo.
Per lui non fu difficile dunque, nel corso degli anni ’70, accettare il “trasferimento” alla neonata redazione sportiva voluta dal Corriere. E in quella redazione assumere il ruolo di cantore delle gesta delle due squadre ticinesi, l’Ambrì Piotta e il Lugano.

Tutti hanno giustamente sottolineato in questi giorni la signorilità, l’abilità, l’equidistanza e l’equilibrio con le quali l’Alce (qualcuno lo chiamava anche “Alcidone”, visto che non era proprio un fuscello) ha raccontato per decenni l’hockey ticinese. Nessuno ha messo in rilievo, però, che se giornalisticamente lo sport ha avuto uno sviluppo impensato all’interno delle testate ticinesi, con redazioni e numero di pagine che nel corso degli anni Ottanta e Novanta si sono gonfiate, una parte di merito l’ha avuta lui, che dopo l’avvento di Sergio Caratti alla direzione del Corriere, sul finire del 1982, e a seguito della ristrutturazione dell’organigramma redazionale all’insegna della specializzazione, venne nominato – nel 1984 se la memoria non m’inganna – capo servizio della redazione sportiva.
Erano gli anni del trio Alcide Bernasconi, Luigi Bertoglio e Claudio Meier, con Pier Baroni a far la spola tra la “cittadina” e lo sport, prima dell’arrivo (ma siamo già oltre la metà del decennio) di Raffaele Soldati e poi di chi scrive, col prezioso Mauro Rossi a tempo parziale.

Anni con quattro squadre ticinesi di calcio in Lega Nazionale, l’HC Lugano campione svizzero, la Michi Figini che nello sci mietava successi ovunque e il basket luganese sempre vivo e appena uscito dalla sbornia di entusiasmo e risultati eccellenti colti sul finire degli anni ’70 e a cavallo del nuovo decennio. Il computer faceva capolino in redazione e di certo non possiamo dire che fosse l’amico preferito dell’Alcide, che amava scrivere i suoi articoli battendo sui tasti della vecchia macchina da scrivere.

Foto Ti-Press /

Per non dire cose che hanno già detto tutti, io ricordo in redazione l’Alce alle prese la domenica sera con la prima pagina dell’inserto sportivo del Corriere, che non era magro come adesso, ma ipertrofico con le consuete 11 o 12 pagine del lunedì.

Quando i modelli della grafica non erano ancora riusciti a ingabbiarlo, come successe dalla metà degli anni ’90 allorchè la nuova tecnologia coi suoi schemi fissi entrò in redazione, la pagina bianca della domenica era una tela che esaltava la creatività e la bravura del nostro capo servizio, il quale chiedeva “la foto scontornada”, voleva un incastro mirabile tra immagini e testo, elaborava titoli sempre azzeccati, un insieme che rendevano autentiche perle quelle aperture di cahier.

In tipografia quei momenti erano attesi e temuti: attesi perché la creatività dell’Alce non lasciava indifferente nessuno, temuti perché dire che l’Alcidone era un diesel non rende l’idea dei suoi tempi di reazione, che quasi sempre sconfinavano oltre l’orario canonico della chiusura del giornale, con imprecazioni di vario genere sempre neutralizzate dal sorriso bonario e dalla gentilizza del nostro. L’Alcide era così: uomo da tempi lunghi, un passista per dirla in gergo ciclistico, sicuramente gufo e non allodola, allergico alle mattinate di lavoro, sicchè la sua giornata cominciava sempre al tramonto.

La sto tirando lunga, come le notti a suon di musica dell’Alce. La musica certo: l’altro amore, insieme alla sua bella famiglia, dell’Alcide. Inutile ricordarlo: la sua voce calma e suadente ha scaldato i cuori di infiniti amanti del country attraverso la RSI.

Per vent’anni ho lavorato insieme a lui e, come sempre tra colleghi di lavoro, ci sono stati momenti sì e momenti no. Una cosa non sono mai davvero riuscito a capire di lui: se il suo cuore pendesse più verso i colori bianconeri o biancoblù. E anche in questo, permettete, sta la grandezza dell’Alcide giornalista.

Tarcisio Bullo